Per celebrare insieme il 70esimo anniversario della stazione più grande d’Italia
di Chiara Cianfarani
Della Stazione Termini avevo un ricordo cinematografico prima ancora di averne uno personale: “Roma” di Federico Fellini. Poi a Roma ci sono andato ad abitare, e Termini è diventato il mio collegamento con il mondo esterno. Ho rottamato l’automobile da molto tempo, mi muovo a Roma con i mezzi o in scooter, e per raggiungere le altre città viaggio ormai solo in treno.
Quando arrivo troppo in anticipo in stazione, mi rifugio da Borri, la grande libreria a tre piani nella quale ci si può perdere per ore.
Da Borri, in effetti, ci vado anche se non devo prendere il treno: abito all’Esquilino, dunque la Stazione Termini più che una destinazione è per me una presenza costante e un punto di riferimento.

La sua forma squadrata comunica una certa gravità, ulteriormente irrobustita dallo stratificarsi della memoria. Eppure, in certi pomeriggi d’estate, di contrasto con l’azzurro del cielo, sembra che l’intera struttura possa disfarsi da un momento all’altro, quasi che – incastonato nella stazione reale – riposi un sogno, una qualche metafisica del viaggio. È questo, forse, che dona alla stazione Termini una magia altrimenti inspiegabile.
Nicola Lagioia
Photo credits: Chiara Pasqualini
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